In fatto di edilizia residenziale pubblica non si costruisce quasi più nulla in Italia. Di conseguenza cresce la tensione abitativa specialmente nelle grandi città. Con l’aggravante che il social housing, pensato per chi si trova in difficoltà ma non estreme, potrebbe andare a scapito delle categorie più svantaggiate

Segnaliamo l’intervista che Cittalia (Fondazione ANCI Ricerche) ha realizzato con il direttore dell’Area tecnica di Federcasa, Anna Pozzo, pubblicata il 15 giugno 2011 con il titolo “Abitare sociale, dai comuni idee e soluzioni per nuovi problemi“.

Fra le varie problematiche emerse nel corso della conversazione Anna Pozzo, rispondendo a una domanda sugli effetti della crisi per quanto riguarda la tipologia delle abitazioni richieste, sottolinea come la richiesta vada verso abitazioni “flessibili”, cioè che possano essere facilmente adattatate alle mutate condizioni del nucleo familiare.

Soluzioni efficaci in questo senso potrebbero essere – a parere dell’intervistata – il cohousing, meno astratto di quanto si possa pensare, o le case-albergo per lavoratori privi di nucleo familiare, sempre però che venga operato un cambiamento nei criteri di assegnazione dell’alloggio sociale, privilegiando per esempio, accade già a Trento, le famiglie che nel loro curriculum hanno già esperienze sociali o di volontariato.

«Ad esempio anche a Reggio Emilia – così Anna Pozzo citando un’altra esperienza – hanno messo a punto una griglia di assegnazione che evita la concentrazione di casi troppo critici in una stessa zona per assicurare un minimo di convivenza sociale».

Disarmante il bilancio degli interventi volti ad alleggerire la tensione abitativa: appena seimila nuovi alloggi che sicuramente non bastano a controbilanciare il ritmo delle dismissioni, con la perdita di buona parte del patrimonio abitativo.

«A Roma, Milano, Napoli, Torino e Palermo c’è una forte pressione della domanda a cui non si riesce più a rispondere: a fronte di 30mila domande a Roma e 12mila a Torino, la produzione di nuovi alloggi è insufficiente».

Come se ne esce?, chiede l’intervistatore.

Con un mix di interventi, è la risposta. Stando però attenti a non favorire una categoria di persone che vengono a trovarsi improvvisamente al limite della soglia di povertà, a scapito di altre categorie ancora più disagiate.

«Il fenomeno che rischia di verificarsi sull’housing sociale è che se non si offrono case per i più poveri, questi ultimi cercheranno di sostenere un affitto che non possono pagare magari se perdono il lavoro. I questo modo non si sarà data risposta né ai più deboli né agli altri, se le risposte sono inadeguate non servono a nessuno».