Queste le principali criticità del social housing che pongono l’Italia ai livelli più bassi d’Europa

Scarsità di risorse pubbliche, problemi legati alla gestione e programmazione degli edifici e agevolazioni da parte degli enti locali. Sono queste le principali criticità del social housing che pongono l’Italia ai livelli più bassi d’Europa. A tracciare il quadro all’Adnkronos, è Laura Mariani, che si occupa di Politiche della casa e degli insediamenti urbani per la Cgil che spiega: “l’housing sociale è la risposta abitativa per quelle fasce sociali che non hanno le caratteristiche per accedere all’edilizia pubblica e che non trovano riscontri sul mercato”.

L’edilizia sociale, in pratica, “si rivolge a quella fascia di centro che comprende le giovani coppie, i single ma anche chi per esigenza di lavoro è costretto a spostarsi spesso”. Ma purtroppo in Italia “l’housing sociale rischia di produrre canoni insostenibili proprie per quelle categorie alle quali dovrebbe essere destinato”.

La costruzione di alloggi sociali a prezzi accessibili è limitata innanzitutto per la scarsità del finanziamento pubblici. In Italia per attivare gli investimenti privati la Cassa depositi e prestiti nel 2009, unitamente all?Associazione delle Fondazioni bancarie (Acri) e all?Associazione Bancaria italiana (Abi), ha costituito ‘Cdp Investimenti Sgr Spa’, società di gestione del risparmio che promuove e gestisce il ‘Fondo investimenti per l?abitare’ (Fia).

Il Fia è un fondo immobiliare riservato ad investitori qualificati operante nel settore dell?edilizia privata sociale (social housing) con la finalità di incrementare sul territorio italiano l?offerta di alloggi sociali a supporto ed integrazione delle politiche di settore dello Stato e degli enti locali.

Il Fia, spiega la Mariani, “finanzia il 40% dell’investimento mentre la restante quota la deve mettere il privato che per rientrare nell’investimento e trovare la giusta convenienza mette in vendita, anche il 50%, degli alloggi”.

La domanda, dunque, è: “quanti alloggi deve vendere il privato per rientrare dall’investimenti e avere così dei canoni di affitto calmierati?”. Gli interventi che devono essere fatti, secondo la Mariani, “non devono mirare alla proprietà privata ma a creare uno stock di case in affitto per riequilibrare anche il mercato”.

In questo anche gli enti locali hanno un ruolo: “le aree dovrebbero essere date dai Comuni non con un obiettivo speculativo ma quasi a costo zero. Oppure recuperare gli immobili demaniali da destinare a questo settore”. “E’ la cultura che deve cambiare. C’è bisogno di investimenti centrali ma guardando all’esistente” commenta.

Rivedere l’armatura urbana, secondo la Mariani, “potrebbe essere un’occasione anche per il privato, che vista la crisi, capisce che non c’è più la redditività di un tempo”. Servono, dunque, “più finanziamenti centrali che devono essere programmati e agevolazioni da parte degli enti locali che devono rendere compatibile l’investimento