J’accuse dei costruttori. L’inchiesta sul magazine

L’housing sociale? Buone case per pochi. E’ la fotografia attuale di una realtà fino a poco tempo fa in movimento verso l’alto ma che ora registra una fase di stallo, dovuta alla crisi che morde ma non solo. Vita in edicola di questa settimana (l’ultimo numero a uscita settimanale, dato che da giugno diverrà mensile) analizza con un’inchiesta le cause della difficoltà attuale dell’abitare sociale. Qui di seguito, invece, le domande sul tema che abbiamo rivolto a Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance, Associazione nazionale costruttori edili.

Negli ultimi anni l’housing sociale ha avuto un impennata, ma ora sembra arrancare. Come lo vedete, in prospettiva? Rivestirà un ruolo importante nel vostro operato futuro?
Negli ultimi anni il nuovo modello di housing sociale orientato sulla locazione piuttosto che sulla proprietà, magari anche nelle forme più evolute che prevedono spazi per la condivisione e la socialità, ha sicuramente rappresentato un settore di crescente interesse. Gli imprenditori hanno potuto sperimentare forme progettuali nuove, esperienze di gestione immobiliare (manutenzione e amministrazione) e integrazione delle forme di finanziamento e coordinamento con altri soggetti. Si tratta di un modello che vede un’ampia integrazione tra finanziamenti pubblici, sempre più scarsi, e finanziamenti privati, ma che oggi incontra difficoltà crescenti soprattutto per le obiettive difficoltà che si registrano nell’accesso al credito da parte delle imprese. A ciò si aggiungono anche le problematiche di natura fiscale, compresa la recente introduzione dell’IMU, che contribuiscono a rendere sempre più precario l’equilibrio dei piani finanziari di questa tipologia di operazioni. In ogni caso le trasformazioni urbane, che rappresentano uno dei principali settori dell’attività futura, hanno nelle politiche per l’abitare un passaggio essenziale e quindi le imprese non possono non raccogliere la sfida dell’housing sociale pena la loro esclusione, quali soggetti promotori, dai più importanti e fondamentali processi di riqualificazione delle città.

L’edilizia sociale nell’ultimo ventennio è diminuita di ben più della metà. E’ possibile ora un ritorno, dato il portafoglio più vuoto delle famiglie? In tal senso, come si stanno muovendo i costruttori e gli operatori del settore?
In Italia esiste ancora un bisogno di casa. In particolare il fabbisogno abitativo insoddisfatto riguarda le fasce sociali più deboli – giovani coppie, immigrati – che, complice la crisi economica, hanno visto ridursi drasticamente la loro possibilità di accedere al bene casa. In questa prospettiva il social housing diventa una chiave importante per il futuro, perché bisognerà dare una risposta a questa esigenza abitativa.  Negli ultimi anni l’edilizia sociale ha registrato un forte calo soprattutto nell’edilizia sovvenzionata destinata alle fasce sociali più deboli, mentre per l’edilizia agevolata in proprietà e in locazione c’è stato un regresso assai più lento e percepito maggiormente negli ultimi tempi. In realtà soprattutto per l’edilizia agevolata destinata alla proprietà vi sarebbero ancora interessanti prospettive commerciali, se vi fossero contributi pubblici ancora disponibili, magari nella forma del conto capitale nonostante la crisi del mercato immobiliare. Oggi le politiche pubbliche di sostegno alla domanda abitativa sono orientate prevalentemente verso la locazione e di conseguenza lo sono anche i modelli operativi delle imprese, in particolare si pensi alla locazione con patto di futura vendita o di riscatto, soluzioni più vicine al modello della proprietà. Si tratta di formule che suscitano l’interesse dei consumatori perché consentono di accedere alla casa diluendone i costi nel tempo. Le imprese che intendono utilizzare tali modalità di mercato si sono già organizzate o lo stanno facendo sul piano finanziario e amministrativo, al pari dell’utilizzo di altre forme innovative, quali per esempio la partecipazione a fondi immobiliari, che potranno contribuire a dare una risposta alla domanda di case in locazione.

Sembra che le banche fatichino a concedere mutui e i comuni non hanno più fondi. Come si ripercuotono anche queste dinamiche sul lavoro dei costruttori edili?
Il rischio che le aziende corrono è il peggiore: il fallimento. Gli imprenditori sono stretti in una doppia morsa che ha, di fatto, chiuso i rubinetti della liquidità. Da una parte le banche negli ultimi quattro anni hanno progressivamente ridotto del 44,3% i mutui per investimenti in edilizia non residenziale e del 38,2% quelli in edilizia residenziale. D’altra le regole contradditorie del Patto di stabilità costringono i sindaci a non pagare le opere già compiute, anche quando in cassa hanno disponibilità di risorse, e a limitare i progetti di nuove opere. Si è stimato che nel triennio 2012-2014 questo meccanismo provocherà un blocco di investimenti pari a 32 miliardi di euro. Ad aggravare la situazione è sopravvenuto un ulteriore aumento della pressione fiscale, che nel 2012 rischia di toccare il 54,5% del Pil, considerando l’aumento delle aliquote Iva dal prossimo ottobre e la portata dell’economia sommersa (265 mld di euro l’anno). Inotre, la stangata dell’Imu – vera e propria patrimoniale sul bene primario degli italiani: la casa –  grava in modo particolarmente iniquo sulle imprese, costrette a pagare persino per gli immobili invenduti e per le aree edificabili. Per cercare una via d’uscita l’Ance in questi mesi ha fatto responsabilmente la sua parte, presentando soluzioni per la ripresa che non aggravassero la spesa pubblica. Una di queste è il Piano Città. Iniziativa che prevede una radicale riqualificazione delle città italiane, attraverso incentivi fiscali finalizzati ad attrarre i capitali privati nelle operazioni di rigenerazione urbana. In poco tempo e con l’intervento di tutti –  cittadini, sindaci, governatori, professionisti e società civile –  è possibile mostrare che puntando sulla città si costruisce un futuro diverso non solo per il nostro settore ma per l’intera economia. È infatti nell’evoluzione urbana che si gioca la partita del risparmio energetico e dello sviluppo sostenibile, che si risponde efficacemente alle esigenze di ammodernamento delle reti logistiche di trasporto e al bisogno improcrastinabile di mettere in sicurezza le città dal pericolo del dissesto idrogeologico.

Quali sono gli aspetti del vostro operato in cui più si nota tale crisi?
L’Ance, da tempo, denuncia un quadro allarmante. Le cifre parlano chiaro, dall’inizio della crisi i posti di lavoro persi sono stati 380mila per tutto il comparto, gli investimenti si sono ridotti del 24% e 7.552 sono state le imprese fallite. La sofferenza del settore si avverte in tutti i comparti, dall’edilizia privata (-23,3% ) fino alle opere pubbliche (-37,2%). Tutto ciò a discapito di quello che molti analisti economici vanno ripetendo, ossia, che per uscire dalla crisi l’edilizia rappresenta uno dei settori chiave su cui investire. A tale situazione, evidentemente già molto compromessa, si deve aggiungere il problema, inaccettabile in un paese civile, dei ritardati pagamenti. Le imprese di costruzione aspettano, in media, 8 mesi per poter incassare i propri crediti con la pubblica amministrazione, a volte l’attesa può superare i due anni. E per quanto anche un piccolo credito se non onorato in tempo può causare danni gravi, le somme di cui si parla sono assolutamente considerevoli. Se si guarda infatti al settore edile nella sua interezza, i debiti che lo Stato ha con le aziende arrivano a 19 miliardi di euro. Per questo motivo lo scorso 15 maggio l’Ance, l’intera filiera delle costruzioni, i progettisti, gli artigiani e le cooperative hanno lanciato il D-Day delle costruzioni. Un’iniziativa che ha lanciato una campagna di recupero dei crediti vantati dalle imprese, attraverso l’avvio di azioni legali che mettano lo Stato di fronte alle proprie responsabilità.