A Torino in via Ivrea la prima «casa sociale» d’Italia

Due anni fa, la Fondazione Crt, annunciando il primo progetto italiano di «housing sociale temporaneo» (e il suo finanziamento record di quattordici milioni di euro) aveva aggiunto che sarebbe partito nel 2011. Ora, non solo il progetto è stato avviato nei tempi previsti (che in Italia è già un’ottima notizia), ma addirittura a dieci giorni dall’apertura non può più far fronte alle richieste. Operativo dal 1° settembre scorso in via Ivrea 24, offre appartamenti e minialloggi a prezzo agevolato e una marea di altri servizi: ristorante, bar, tintoria, una reception sempre aperta. Prossimamente un poliambulatorio, una bacheca interna per chi cerca e offre lavoro, sportelli di mediazione culturale e di assistenza legale, un bio market.

L’edificio, ristrutturato dalle fondamenta al tetto – su cui sono stati montati pannelli solari – presuppone a Torino un nuovo modo di abitare, è gestito dalla cooperativa Sharing, ed è figlio di una collaborazione tra la Fondazione e il Comune di Torino anche se non ci tratta di edilizia popolare. Si rivolge infatti alla cosiddetta «fascia grigia», papà separati, insegnanti, giovani lavoratori, studenti, famiglie intere che, temporaneamente, non possono permettersi di pagare un affitto privato ma nemmeno hanno i requisiti per entrare nelle liste delle case popolari. Come il gruppo di giovani cinesi che in Via Ivrea vive all’ottavo piano. C’è chi frequenta il Politecnico, chi Architettura. Alle quattro del pomeriggio studiano mentre uno di loro spignatta: «Paghiamo 750 euro al mese – dice Feng Zhi Peng, 18 anni, che arriva da Shenzhen – e l’affitto lo divido con tre amici. Sono molti gli studenti che abitano qui, anche italiani fuori sede. Viviamo come fosse un Campus».

Una prova ulteriore del fatto che i ragazzi, tutt’altro che bamboccioni, sono disponibili eccome a stare distante dalle comodità di mammà non appena le condizioni lo permettono. Gli appartamenti sono 122, il contratto, che prevede una turnazione, non può superare l’anno; 58, invece, sono le camere a uso esclusivamente alberghiero. «Negli appartamenti ho tutto ciò che mi serve – dice Carmela Morghisi, una maestra di scuola elementare che arriva da Conversano, un paesino a pochi chilometri da Bari- ho elettrodomestici, arredi, piatti, pentole, e pago circa 400 euro al mese. Con lo stipendio che ho, è il massimo che potessi sperare. Qui mi sento a casa, accolta».

Negli spazi comuni, la reception, il bar, l’area per bambini, ci si incontra per parlare, per conoscersi, si condividono tempi, spazi e s’incrociano culture. Quella di Qamar, 31enne, profuga somala, laureata, è fiera e sincera: «Nel mio Paese c’è la guerra da ventitré anni – dice guardando i figli – perciò scappiamo. Ma io ho studiato, lavorare non mi spaventa, ora faccio le pulizie. Il mio sogno più grande è farli crescere in un posto dove possano sentirsi sicuri». Il sogno di una casa di Qamar, un sogno universale.