Per abbattere il costo del denaro, in molti Paesi europei, lo Stato, eroga alle aziende che si impegnano a costruire in “social housing”, prestiti e mutui a tassi calmierati, il cosiddetto “prestito a tasso zero”, rimborsabile senza interessi e destinato unicamente alla costruzione di nuovi alloggi sociali, con materiali di qualità finalizzati al risparmio energetico, progetti di eco-sostenibilità, mantenendo tempi di realizzazione al passo con la modernità (da 6 mesi a 1 anno), e non al passo “italiano”

Nuovo intervento del consigliere comunale Francesco Roberti in materia di piano casa. L’ingegnere del Pdl denuncia il rischio di mancare il vero obiettivo.

“Nell’ottica di una pianificazione generale, necessariamente un’amministrazione deve avere idee  preliminari e obiettivi da raggiungere, non può certo permettersi di lasciare le decisioni di uno sviluppo del territorio al libero arbitrio di tecnici e costruttori.

Lo scopo che dovrebbe avere un piano casa nella città di Termoli, è quello di un  intervento organico di sviluppo, per accelerare il lavoro di ricucitura e di riqualificazione urbana del territorio. Tale ricucitura, tanto invocata e declamata da qualche precedente sindaco, più nelle parole che non nei fatti, rappresenta la panacea di una pianificazione sviluppatasi nel tempo e lasciata libera di essere governata da alcuni progettisti e fabbricanti, anziché dagli strumenti di pianificazione.
Le amministrazioni che si sono succedute, hanno sempre dato indicazioni ai redattori del PRG, di focalizzare, nella futura pianificazione, soprattutto l’obiettivo di mettere in pratica strumenti che attivassero questo processo di ricucitura.
Utilizzare oggi lo strumento del piano casa con dovuta accortezza, prudenza e dovizia, rimane praticamente un obbligo, onde evitare,  nelle zone agricole, un’edificazione in modo “sporadico” e casuale, rischiando di riproporre quartieri dormitori così come quelli esistenti.
La necessaria razionalizzazione dei servizi pubblici, che oggi la crisi economica impone a tutti gli enti locali, diventa un postulato da cui partire, per cantierare nuove idee progettuali di pianificazione, alfine di ottenere un ordinato sviluppo urbanistico.

La necessità di perimetrare il piano casa, in zone prospicienti le aree già edificate, nasce non solo dall’esigenza di fronteggiare la razionalizzazione di detti servizi, ma soprattutto dall’usufruire di opere di urbanizzazione secondarie (scuole, chiese, mercati, infrastrutture sportive ecc…), garantendo una perfetta integrazione (e non inclusione) culturale, a chi decidesse di venire a vivere a Termoli. 
Per esempio, pensare di perimetrare una specifica area extra-urbana, per realizzare migliaia di alloggi di edilizia sociale, a mio modesto giudizio, è l’equivalente a confinare intere famiglie e far erroneamente condividere un mondo proporzionale al loro ceto sociale.

Un tale modo di pensare allo sviluppo del territorio, senza volerlo, infatti, si è concretizzato nel passato con i vari quartieri di Termoli: San Pietro, Porticone, Difesa Grande, Contrada Fucilieri, dove solo oggi, alle soglie del 2012, tali zone, hanno visto una parziale urbanizzazione secondaria con la garanzia di minimi servizi.
Credere poi, che la ripresa della sola edilizia possa risolvere i mali della crisi economica che colpisce Termoli come l’Italia, significa essere rimasti indietro non solo con i tempi, ma soprattutto con le logiche che oggi regolano i mercati finanziari.

Se pure esistesse un “folle mecenate ”, pronto a immettere sul mercato immobiliare di Termoli 2000 alloggi, al prezzo sociale di circa 1200 euro il metro quadro, bisognerebbe chiedersi se gli acquirenti, disposti all’acquisto, trovino  banche (oggi prive di liquidità) pronti a finanziare i relativi mutui. 
Oggi erroneamente si ha la convinzione che l’iniziativa del piano casa, messa in campo dal decreto sviluppo, possa veramente risolvere i problemi efferenti il settore edile.

C’è un vecchio adagio  che recita: “le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni”; infatti pochi sono a conoscenza che il procedimento amministrativo dell’istituto dell’accordo di programma (strumento necessario per l’attuazione del piano casa), prevede il relativo piano finanziario e le modalità di attuazione delle opere. Per questo in Italia il piano casa non ha riavviato nessun settore economico, anzi, nella Regione Lazio ha creato più di qualche problema alla presidentessa Polverini, dopo che l’intera Giunta, per protesta al piano casa nazionale, si era dimessa. Per riavviare l’economia occorrerebbero misure concrete e concertate, non interventi che sono più facili da propagandare che d’attuare.
Per esempio, per abbattere il costo del denaro, in molti Paesi europei, lo Stato, eroga alle aziende che si impegnano a costruire in “social housing”, prestiti e mutui a tassi calmierati, il cosiddetto “prestito a tasso zero”, rimborsabile senza interessi e destinato unicamente alla costruzione di nuovi alloggi sociali, con materiali di qualità finalizzati al risparmio energetico, progetti di eco-sostenibilità, mantenendo tempi di realizzazione al passo con la modernità (da 6 mesi a 1 anno), e non al passo “italiano” che va dai 2 anni in su. Il Social housing è un intervento dal forte valore sociale, che consente di dare una risposta  alla fascia dei meno abbienti, laddove le amministrazioni locali, sopperiscano ad una parte del pagamento del canone, con un voucher o un cosiddetto “buono casa”.

In Italia tale idea, sta prendendo piede al Nord, allargando il sistema, soprattutto all’acquisto a tasso agevolato di abitazioni ai ceti medio-bassi (“non per i poveri”), che non sono né nella condizione di aver diritto ad un casa IACP, né nella possibilità di pagare  affitti elevati. Peccato, però, che tale mercato immobiliare è già nelle mani di potenti gruppi economici di imprese partecipate con le solite banche del mattone e le lobby delle “potenti cooperative”. Difatti, da nessuna parte risulta che le piccole imprese abbiano tirato un sospiro di sollievo. Al contrario, bisogna segnalare, cosa molto diffusa anche dalle nostre parti, subappalti  ad imprese locali a prezzi da “cravattari”, tale da consentirgli a stento di pagare qualche rata arretrata con i propri istituti previdenziali e nulla sarebbe se a tutto questo, non si aggiungesse la concorrenza spietata di  ditte non in regola e in odore di mafia. Se si voleva veramente rilanciare l’economia, occorreva consentire l’accesso al credito ai cittadini e alle piccole e medie imprese, con una coraggiosa operazione di sussidiarietà sia verticale che orizzontale, attraverso strumenti finanziari che sostituissero soprattutto i canali tradizionali. 
A chi veramente potrebbe giovare oggi un mercato immobiliare senza regole o fatto di regole facili da eludere?
Se non si vuole un nuovo scempio territoriale come quello finora subito da questo territorio, bisognerebbe tener a mente che i veri valori del buon governo, non si valutano in termini di metri cubi, ma in termini di benessere sociale e ambientale”.